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Santi del 5 Maggio

Il mio Santo > I Santi di Maggio

*Sant'Angelo da Gerusalemme (di Sicilia) - Martire, Carmelitano (5 Maggio)
Gerusalemme, 1185 – Licata (Agrigento), 5 maggio 1225
Angelo è annoverato tra i primi Carmelitani che dal monte Carmelo tornarono in Sicilia, dove, secondo le fonti tradizionali degne di fede, morì a Licata per mano di uomini empi, nella prima metà del secolo XIII.
Venerato come martire, ben presto fu edificata una chiesa sul luogo del suo martirio, e ivi venne deposto il suo corpo.

Solo nel 1662 i suoi resti mortali furono trasferiti alla chiesa dei Carmelitani di Licata. Il culto di Sant'Angelo si diffuse in tutto l'Ordine e anche tra il popolo.

Martirologio Romano: A Licata in Sicilia, Sant’Angelo, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani e martire.
Angelo nacque a Gerusalemme nel 1185, i suoi genitori erano dei giudei convertiti, alla loro morte lui e il fratello gemello Giovanni, decisero di entrare fra i Carmelitani, emettendo poi la professione religiosa nelle mani del Superiore generale San Brocardo, nel convento sul Monte Carmelo. Il Monte Carmelo in Palestina (alto m. 659) segna il confine tra la Galilea e la Samaria e termina con il promontorio omonimo che forma il golfo di Haifa, fu la culla dell’antico Ordine monastico contemplativo d’origine orientale, che prese il nome proprio dal monte, i Carmelitani.
L’Ordine si trasformò da contemplativo in Ordine mendicante nel XIII secolo, quando fu introdotto in Occidente, secondo la Regola di Sant’Alberto di Gerusalemme (1214 ca.); era il secolo di San Francesco d’Assisi e di San Domenico Guzman e del sorgere ed espandersi degli Ordini mendicanti, che tanta rivoluzione spirituale, portarono nella Chiesa di Cristo.
E in quel periodo Angelo entrò nel Carmelo; a 25 anni fu ordinato sacerdote e un po’ più tardi nel 1218, gli diedero la missione di recarsi a Roma, per illustrare ed ottenere dal papa Onorio III, la conferma della nuova e definitiva Regola del Carmelo; il Papa, lo stesso che approvò l’Ordine Francescano, la concesse nel 1226.
Dopo aver predicato fruttuosamente in San Giovanni in Laterano, Angelo fu inviato in Sicilia per predicare contro i "catari" che infestavano l’isola.
L’eresia catara si propagò dopo il 1000, dall’Oriente all’Occidente; essa portava a concepire un’antitesi primordiale tra il Bene e il Male (dal quale procede il mondo) e alla condanna radicale di tutto ciò che è carnale e terreno: condanna del matrimonio, negazione della resurrezione della carne, vegetarismo, divieto dell’esercizio della giustizia e delle armi, condanna della proprietà privata.
Fra gli adepti vi erano i semplici ‘credenti’ ed i "perfetti", che si distinguevano per il loro ascetismo, per cui si lasciavano morire anche di fame.
Il movimento eretico assunse secondo la Nazione in cui si estendeva, varie denominazioni: Albigesi, bulgari, patarini, pubblicani e nel periodo in cui visse Sant'Angelo, era particolarmente in fase di espansione in tutto l’Occidente cristiano.
A Licata (Agrigento) s’imbatté in un signorotto locale, certo Berengario, che oltre ad essere un cataro ostinato, viveva nell’incesto; Angelo convinse la compagna di quest’uomo a lasciarlo, Berengario infuriato lo assalì, mentre predicava nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, ferendolo mortalmente con cinque colpi di spada.
Fu trasportato in una casa vicina dai fedeli, dove quattro giorni dopo, morì per le ferite riportate, era il 5 maggio 1225, chiedendo agli abitanti e fedeli di Licata di perdonare l’assassino.
Fu sepolto nella stessa chiesa dell’aggressione e il suo sepolcro divenne subito meta di pellegrinaggi, il suo culto si diffuse rapidamente.
L’Ordine Carmelitano lo venera come santo almeno dal 1456 e Papa Pio II (1405-1464), ne approvò il culto.
I suoi resti, nel 1662 furono trasferiti in una nuova chiesa, Santa Maria del Carmine, edificata per voto dagli abitanti di Licata, che erano stati preservati dalla peste, infuriata in tutto il Vicereame di Napoli nel 1656, per intercessione del Santo.
Nell’arte è raffigurato con la palma del martirio in mano e tre corone, (verginità, predicazione, martirio), e con una spada che gli trapassa il petto.
Il culto per Sant'Angelo da Gerusalemme concorse fortemente all’espansione dell’Ordine Carmelitano in Sicilia e in Italia. La sua festa si celebra il 5 maggio.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Sanri)
Giaculatoria - Sant' Angelo da Gerusalemme, pregate per noi.

*Sant'Avertino - Diacono (5 Maggio)

m. 1189
Martirologio Romano:
A Vençay presso Tours in Francia, Sant’Avertino, diacono, che, avendo seguito in esilio San Tommaso Becket, tornato dopo la sua uccisione a Vençais, vi condusse vita eremitica.
Secondo le notizie che si hanno su Avertino, poco esaurienti e disperse in più fonti, egli era diacono e canonico regolare agostiniano nella congregazione di San Gilberto di Lincoln (Inghilterra).
Discepolo di Tommaso Becket, nel 1164 lo accompagnò in Francia, dove l'arcivescovo di Canterbury era stato costretto a fuggire per i suoi contrasti con il re Enrico II. Esule in Francia, Avertino, dopo l'uccisione del suo maestro (1170), si recò a Tours per condurvi vita eremitica e morì a Vençay (Ventiacum) nel 1189.
Presso la sua tomba, nella chiesa di Vencay, avvennero molti miracoli che attirarono un gran numero di pellegrini: il nome del paese fu allora mutato in Saint-Avertin.
La festa di Avertino, che è particolarmente invocato per la guarigione delle emicranie, si celebra il 5 maggio.

(Autore: Paul Viard - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Avertino, pregate per noi.

*Beato Benvenuto Mareni da Recanati - Religioso dell'Ordine dei Minori (5 Maggio)

m. Recanati, 5 maggio 1269
Martirologio Romano:
A Recanati nelle Marche, Beato Benvenuto Mareni, religioso dell’Ordine dei Minori.
Benvenuto, nato a Recanati (MC) chiese di essere accolto come laico nella Famiglia Francescana.
Appagato il suo desiderio si esercitò in ogni genere di virtù.
Consacrava il tempo libero dalle sue occupazioni in fervorose ed assidue preghiere.
L'ubbidienza lo destinò all'umile ufficio di cuoco.
Frequenti erano le sue estasi , durante le sue ardenti orazioni e meditazioni, in una delle quali meritò di accogliere fra le sue braccia Gesù Bambino, con immenso gaudio dell'anima sua.
La sua morte avvenne a Recanati il 5 maggio 1269.
Il suo corpo si conserva e si venera nella chiesa di San Francesco, già dei Conventuali, a Recanati.
Pio Vi ne riconobbe il culto.

(Autore: Elisabetta Nardi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Benvenuto Mareni, pregate per noi.

*San Brittone di Treviri - Vescovo (5 Maggio)
m. 386
Martirologio Romano:
A Treviri nella Gallia belgica, nell’odierna Germania, San Brittóne, vescovo, che difese il suo gregge dall’eresia priscillianista, ma invano tentò insieme ai Santi Ambrogio di Milano e Martino di Tours di opporsi alla ferocia di coloro che vollero la morte di Priscilliano e dei suoi seguaci.
Succeduto a San Bonoso sul seggio episcopale di Treviri nel 373, presenziò al concilio dell'episcopato della Gallia a Valenza il 12 luglio 374 (Mansi, III, Firenze 1759, coli. 491-96) e nel 382 a quello di Roma, radunato dal Papa Damaso.
Nella lettera sinodale sottoscrisse per terzo, subito dopo il Papa e Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, come primate di fatto, se non di diritto, della Gallia.
In quello stesso anno o nel seguente diede ospitalità a Itacio di Ossonova, fatto cacciare dalla Spagna dai priscillianisti, e indusse anche il prefetto del pretorio Gregorio ad agire contro quegli eretici.
Non sappiamo se e quanto, assieme a Itacio, abbia influito sulla condanna a morte di Priscilliano e dei suoi compagni, avvenuta a Treviri nel 385.
Brittone morì in quello stesso anno o l'anno dopo: nel 386, comunque, San Martino di Tours andò a Treviri per assistere all'ordinazione del successore.
Brittone è festeggiato come Santo nella diocesi di Treviri il 5 maggio.

(Autore: Ireneo Daniele – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Brittone di Treviri, pregate per noi.

*Beata Caterina Cittadini - Vergine (5 Maggio)

Nasce a Bergamo il 28 settembre 1801 da genitori da poco giunti in città da Villa d'Almè. A sette anni è già orfana e rimane sola con la sorellina Giuditta di cinque anni.
Vengono così accolte nell'orfanotrofio del Conventino.
In quell'Istituto Caterina Cittadini si diploma maestra nel 1823.
Viene invitata da due cugini sacerdoti, Giovanni ed Antonio Cittadini, a trasferirsi a Calolziocorte e nello stesso anno inizia ad insegnare nella scuola elementare del vicino paese di Somasca di Vercurago, dove apre una scuola gratuita per fanciulle povere, una scuola festiva gratuita, seguita da un educandato e da un orfanotrofio.
Alcune delle sue ex allieve rimangono con lei per diventare loro stesse educatrici. Da questo nucleo sorge il nuovo Istituto delle Orsoline di Somasca.
A 37 anni, nel 1840, muore la sorella Giuditta, suo più valido sostegno.
Caterina scrive le Costituzioni del nuovo Istituto e le presenta al vescovo di Bergamo, Luigi Speranza negli anni 1854-55.
Verranno approvate sette mesi dopo la morte di madre Cittadini, il 5 maggio 1857.
È Beata dal 2001. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Somasca vicino a Bergamo, Beata Caterina Cittadini, vergine, che, rimasta orfana fin da piccola, fu educatrice umile e sapiente; si dedicò con impegno nel curare l’istruzione delle ragazze povere e l’insegnamento della dottrina cristiana, fondando per questo l’Istituto delle Suore Orsoline di Somasca.
È stata beatificata il 29 aprile 2001 da Papa Giovanni Paolo II; nacque a Bergamo il 28 settembre 1801 da genitori da poco immigrati da Villa d’Almè, cittadina della provincia, speranzosi di una
sistemazione economica migliore.
A sette anni gli erano già morti i due genitori e rimase sola con la sorellina Giuditta di cinque anni.
Le due sorelle furono ricoverate nell’orfanotrofio del Conventino, fino alla maggiore età e in quell’Istituto Caterina Cittadini si diplomò maestra nel 1823.
Fu invitata da due cugini sacerdoti Giovanni ed Antonio Cittadini, a trasferirsi presso di loro nel paese di Calolziocorte (BG) e nello stesso anno iniziò ad insegnare nella scuola elementare del vicino paese di Somasca di Vercurago, molto noto per il santuario di S. Girolamo Emiliani e per la Casa Madre dei Somaschi.
La sua sete di operare il bene, non si limitò all’educazione e all’insegnamento nella Scuola Comunale; coadiuvata dalla sorella Giuditta, aprì a Somasca una scuola gratuita per fanciulle povere, una scuola festiva gratuita, seguita da un educandato e da un orfanotrofio.
Alcune delle sue ex allieve rimasero con lei per dedicarsi all’educazione delle fanciulle povere e per insegnare il catechismo, mettendo a disposizione la loro ricchezza spirituale, le loro energie fisiche, la loro ansia di apostolato.
Da questo nucleo di giovani maestre sorse il nuovo Istituto delle Orsoline di Somasca.
A 37 anni, nel 1840, morì l’amatissima sorella Giuditta, suo più valido sostegno nella sua opera di apostolato, il dolore per la perdita è atroce, ma sorretta da una fede incrollabile, Caterina accetta la volontà di Dio e gli si affida con un maggiore abbandono.
Scrive le Costituzioni del nuovo Istituto e le presenta al vescovo di Bergamo, Mons. Luigi Speranza negli anni 1854-55, ma furono approvate sette mesi dopo la morte di madre Cittadini, avvenuta il 5 maggio 1857.
Anima profondamente umile e semplice, si rivelò educatrice sapiente e illuminata, rivalutando in chiave moderna e femminile, l’istituzione tipicamente lombarda dell’oratorio festivo parrocchiale, sull’esempio di San Carlo Borromeo e di San Girolamo Emiliani.
La sua opera divenne di diritto pontificio nel 1917, diffondendosi fuori della diocesi di Bergamo in Italia e America Latina.
I processi che hanno portato alla sua beatificazione, si sono aperti il 12 gennaio 1979.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Caterina Cittadini, pregate per noi.

*Sant'Eutimio di Alessandria - Diacono e Martire (5 Maggio)

† 305 circa

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, sant’Eutimio, diacono e martire.
È ricordato al 5 maggio nel Martirologio Geronimiano e nel Martirologio Siriaco del secolo IV.
Alla loro breve notazione, Floro, nel suo Martirologio, aggiunge (forse mutuando la frase da un esemplare più completo del Geronimiano): "in carcere quiescentis" (è notevole che tale frase ricorra anche al 2 maggio per il martire Saturnino).
Forse da essa trae motivo Galesino per affermare che Eutimio fu gettato in carcere, dove fu lasciato morire d'inedia, al tempo, aggiunge, della persecuzione di Diocleziano (305 circa).

(Autore: Pietro Bertocchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Sant'Eutimio di Alessandria, pregate per noi.

*San Garino di Toul - Vescovo (5 Maggio)

† 11 maggio 1230

San Garino è il quarantanovesimo vescovo della diocesi di Toul in Lorena.  Nella cronotassi ufficiale della diocesi è stato nominato vescovo dopo Eudes II de Sorcy e precede Roger de Mercy.
Già settuagenario, nel 1228 fu nominato vescovo di Toul, dopo aver amministrato per vent’anni l’abbazia di San Aper o Saint’Evre a Toul.
Resse la diocesi solo per un anno.
La tradizione ci dice che durante tutto il suo episcopato abbia implorato i canonici ad esentarlo dalla nomina di vescovo.
I canonici gli concessero di potersi ritirare solo dopo un suo atto formale di scomunica nei confronti dei signori Vaucouleurs che avevano saccheggiato il villaggio di Ouches, appartenente al capitolo.
Dopo quella breve esperienza di pastore della diocesi di Toul si ritirò nel suo monastero, dove morì l’11 maggio 1230.
Fu sepolto dietro l’altare di Nostra Signora, e nel 1582, il suo corpo fu ritrovato intatto.
E’ menzionato nel "Catalogus generalis sanctorum" dal Ferrari.  
Nel "Martyrologium gallicanum" il De Saussay lo definisce "sanctus", mentre nel "Ausfubrliches Martyrologium des Benediktiner Ordens" del 1885 viene definito "beatus".
La sua festa si celebra il 5 maggio.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Garino di Toul, pregate per noi.

*San Geronzio di Milano - Vescovo (5 Maggio)

m. 472 circa
Martirologio Romano:
A Milano, San Geronzio, vescovo.
Geronzio, vescovo di Milano, Santo. Fu un intimo collaboratore del vescovo Sant'Eusebio che, al dire di Ennodio, lo avrebbe designato, ancora in vita, come suo successore. Condusse a termine il piano di ricostruzione di Milano distrutta da Attila (452), iniziato dal suo predecessore. Morì dopo ca. quattro anni di episcopato e fu sepolto nella chiesa di San Simpliciano.

Martirologio Romano: A Milano, San Geronzio, vescovo.
Il 5 febbraio la Chiesa ambrosiana ricorda San Geronzio, suo diciannovesimo vescovo. Il suo fu un breve episcopato: solo tre anni (462 - 465). Forse si volle ripetere l’esperienza di Ambrogio, che ebbe come successore Simpliciano, ormai anziano, ma di vasta cultura, grande carità, vera
sapienza. Anche Geronzio, infatti, fu scelto, probabilmente già anziano, perché si distingueva tra il clero ambrosiano per la sua carità verso i poveri. Di lui, in effetti, dovremmo ricordare lo zelo per le case di Dio e quelle degli uomini.
Geronzio si impegnò con ogni energia nel ricostruire le chiese di Milano, distrutte dagli Unni di Attila, le quali - scrisse San Massimo di Torino - giacevano in rovina, «abbattute come teste staccate dal corpo». Con lo stesso zelo sostenne i profughi, gli sfollati, i feriti, riscattò i prigionieri, sollecitò aiuti contro gli invasori.
Lo sosteneva la coscienza del suo ministero, dell’impegno che aveva assunto presso gli uomini e presso Dio, poiché, come diceva Ambrogio commentando il salmo 43: «È necessario che noi rimaniamo nel Signore e non ci ritiriamo, poiché se il Signore ci guida e ci aiuta possiamo reggere coraggiosamente  ogni sfida, ogni lotta».
Per questo, anche Geronzio, per riscattare i prigionieri di guerra, non esitò a  fondere i vasi sacri, poiché «niente perde la Chiesa, quando guadagna la carità. E la carità non è mai  una perdita, ma la conquista più vera di Cristo».

(Autore: Ennio Apeciti - Fonte: Enciclopedia dei Sdanti)
Giaculatoria - San Geronzio di Milano, pregate per noi.

*San Gioviniano - Lettore e Martire (5 Maggio)
III sec.

Martirologio Romano: Ad Auxerre nella Gallia lugdunense, ora in Francia, San Gioviniano, Lettore e Martire.
Gioviniano (lat. Jovinianus, fr. Jovinien) fu uno dei primi apostoli di Auxerre, dove subì il martirio prima della costruzione della cinta delle mura; ma non è possibile precisare l'epoca della sua vita. La recensione aucerrese del Martirologio Geronimiano, scritta verso il 585, menziona, al 5 maggio, la traslazione del lettore Gioviniano, martire, nella basilica di Saint-Amatre.
L'antica chiesa di San Pellegrino, sulle rive della Yonne, aveva, nel sottosuolo, al di sotto dell'altar maggiore, una cavità chiamata "pozzo di san Gioviniano" la cui acqua era reputata utile per la guarigione delle febbri.
Vi si compiva un pellegrinaggio ogni anno, al 5 maggio, giorno della festa del Santo, vi si attingeva l'acqua risanatrice e, il 16 dello stesso mese, si raccoglieva la terra attorno al pozzo, efficace contro i serpenti e il loro morso.
Nel 1071 il vescovo di Auxerre, Goffredo di Champallement, donò il capo e un braccio del martire ai monaci di La Charité-sur-Loire.
La passio Peregrini, racconto leggendario redatto agli inizi del VII secolo, fa di Gioviniano uno dei compagni di missione del vescovo Pellegrino (fr. Pélerin), che papa Sisto II inviò ad evangelizzare le Gallie e che pose in Auxerre il centro del suo apostolato.

(Autore: Paul Viard – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Gioviniano, pregate per noi.

*San Gottardo di Hildesheim - Vescovo (5 Maggio)

Reichersdorf, Passavia, 960 - 5 maggio 1038
Figlio di un vassallo del capitolo di S. Maurizio, Gottardo nasce nel 960 a Reichersdorf (Ritenbach) presso Niederaltaich nella diocesi di Passavia.
Nella scuola capitolare locale si avvicina alle scienze umanistiche e alla teologia. Dopo diversi viaggi in Paesi lontani, tra cui l'Italia, studia nella scuola del duomo di Passavia, dove ha come insegnante il famoso maestro Liutfrido.
Quando il duca Enrico II di Baviera decide di trasformare il capitolo in un monastero benedettino Gottardo diventa monaco. Risale poi al 993 l'ordinazione sacerdotale, dopo la quale diventa priore e rettore della scuola monastica e più tardi introduce una scuola di scrittura e pittura.
Nel 996 viene eletto abate facendosi, anche a Tegernsee e a Hersfeld, fautore dell'ideale di Cluny. Nel 1022 viene nominato vescovo di Hildesheim.
Si distingue per la sua cura pastorale, per l'attenzione nei confronti del clero e per le sue conferenze bibliche. In 15 anni consacra più di 30 chiese. Dopo una breve malattia muore il 5 maggio 1038. (Avvenire)

Etimologia: Gottardo = forte mediante Dio, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Hildesheim nella Sassonia in Germania, San Gottardo, vescovo, che, dapprima abate del monastero di Niederaltaich, visitò e istituì altri monasteri; poi, succeduto a San Bernardo in questa sede episcopale, operò per il bene della sua Chiesa, ristabilì nel clero l’osservanza della disciplina religiosa e aprì delle scuole.
Nacque nel 960 a Reichersdorf (Ritenbach) presso Niederaltaich nella diocesi di Passavia; era figlio di Ratmundo, distinto vassallo del capitolo di San Maurizio (Moritzstift) in Niederaltaich.
Qui, nella scuola capitolare, sotto la guida di Uodalgiso, fu istruito nelle scienze umanistiche e teologiche.
Per tre anni dimorò poi alla corte arcivescovile di Salisburgo, dove fu introdotto nell'amministrazione ecclesiastica.
Dopo il ritorno da viaggi in paesi lontani, tra l'altro visitò l'Italia, proseguí gli studi superiori nella
scuola del duomo di Passavia, dove insegnava.il famoso maestro Liutfrido; poi entrò nel capitolo di Niederaltaich, di cui presto fu eletto preposito.
Quando il duca Enrico II di Baviera, detto il Litigioso (951-995), decise di trasformare il capitolo in un monastero benedettino, Gottardo rimase come novizio e si fece monaco nel 990 sotto l'abate Ercanberto, venuto dalla Svevia. Nel 993 fu ordinato sacerdote, poi divenne priore e rcttore della scuola monastica e ne promosse lo sviluppo interno ed esterno. Nel 996 fu eletto abate e orientò il monastero di Niederaltaich verso l'ideale monastico di Cluny.
Il futuro imperatore Enrico II (1002-24) gli affidò il delicato ufficio di abate e riformatore, prima nel monastero di Tegernsee (1001-1002) e poi in quello di Hersfeld (1005). Con forza paziente riuscí a vincere la resistenza dei monaci ostili alla riforma e, dopo il ritorno a Niederaltaich nel 1013, diresse la costruzione del monastero e della chiesa e vi introdusse una scuola di scrittura e pittura.
Egli è infatti considerato il piú grande architetto e pedagogo della Baviera nell'alto Medioevo. Dietro richiesta dell'imperatore Enrico II fu nominato vescovo di Hildesheim il 30 novembre 1022 e consacrato dall'arcivescovo Aribo di Magonza il 2 dicembre.
Da vescovo incarnò l'ideale di padre del clero e del popolo e si acquistò il rispetto dei suoi sacerdoti specialmente con le sue conferenze bibliche. Durante i quindici anni del suo governo episcopale fece costruire e consacrò piú di trenta chiese. Nonostante la sua età avanzata, difese virilmente i diritti della sua diocesi contro usurpazioni di prelati e di principi. Conclusa la settimana pasquale, morí dopo breve malattia il 5 maggio 1038.
La canonizzazione di Gottardo fu caldamente promossa dai suoi successori Bertoldo (1119-30) e Bernardo (1130-53). Il secondo ne lesse (1131) a Liegi la Vita dinanzi a Innocenzo II (1130-43), che promise di canonizzarlo durante il successivo concilio.
In compagnia di San Norberto di Xanten, arcivescovo e metropolita di Magonza, Bernardo andò al sinodo di Reims, dove il papa, il 29 ottobre 1131, iscrisse Gottardo nell'albo dei santi. Il 4 maggio 1132 Bernardo procedette alla traslazione del corpo dalla chiesa abbaziale al duomo dove il 5 maggio fu celebrata la prima festa liturgica del Santo.
Le fonti ricordano che in questa circostanza si verificarono cinque miracoli, per cui si determinò subito un afflusso considerevole di pellegrini dai paesi limitrofi. A ciò e alla fervida propaganda dei Cistercensi e dei Benedettini si deve la rapida diffusione della venerazione tributata al santo vescovo nella Svezia, nella Finlandia, nei paesi slavi del Sud e nella Svizzera.
L'intercessione di San Gottardo fu implorata contro la febbre, la podagra, l'idropisia, contro le malattie dei fanciulli, le doglie del parto e contro la grandine.
Sulle principali vie di traffico Gottardo divenne il patrono preferito dei commercianti e ciò spiega perché nelle Alpi centrali siano sorte dappertutto chiese e cappelle in suo onore.
Una fama del tutto speciale ottenne la càppella e l'ospizio di S. Gottardo sull'antico mons. Tremulus (o Evelinus o Ursare). Secondo un'antica tradizione ticinese la chiesetta sul valico del S. Gottardo venne edificata da Galdino, arcivescovo di Milano (1166-76).
Il primo documento però lo troviamo soltanto in Goffredo da Bussero, morto prima del 1300, che ascrive la consacrazione della chiesetta nel 1230 a Enrico di Settala, arcivescovo di Milano (1213-30), ma la prima testimonianza dell'esistenza dell'ospizio è del 1293.
Nel 1685 Federico II Visconti affidò la direzione dell'ospizio ai Cappuccini di Milano, a cui succedettero, dopo la parentesi dolorosa della Rivoluzione francese, nel 1804-41 i confratelli del Ticino. Non si conoscono immagini contemporanee di Gottardo e le piú antiche provengono tutte dalla regione di Hildeheim.
Nel 1927 J. Ernst, vescovo di Hildesheim (1915-28), fondò l'"Opera di San Gottardo" per la formazione del clero diocesano.

(Autore: Ottaviano Schmucki – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gottardo di Hildesheim, pregate per noi.

*Beato Gregorio Boleslao (Grzegorz Boleslaw) Frackowiak - Religioso e Martire (5 Maggio)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
“Beati 108 Martiri Polacchi”
Lowecice, Polonia, 18 luglio 1911 – Dresden, Germania, 5 maggio 1943
Grzegorz Boleslaw Frackowiak, religioso della Congregazione del Divin Verbo, fu incarcerato dai nazisti e morì colpito con una scure.
Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: A Dresda in Germania, Beato Gregorio Frąckowiak, religioso della Società del Verbo Divino e martire, che, gettato in prigione durante la guerra, morì per Cristo con un colpo di scure.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Gregorio Boleslao Frackowiak, pregate per noi.

*Sant' Ilario di Arles - Vescovo (5 Maggio)

400 – 5 maggio 449
Martirologio Romano:
Ad Arles in Provenza, Sant’Ilario, vescovo, che, promosso suo malgrado dall’eremo di Lérins all’episcopato, lavorando con le sue mani, vestendosi di una sola tunica sia in estate sia in inverno e andando sempre a piedi, rese visibile a tutti il suo amore per la povertà; dedito alla preghiera, ai digiuni e alle veglie, si adoperò instancabilmente nel ministero della parola, rivelò ai peccatori la misericordia di Dio, accolse gli orfani e destinò prontamente tutto il denaro raccolto dalle basiliche della città al riscatto dei prigionieri.
Il Sant’Ilario festeggiato in data odierna, vescovo di Arles, non è assolutamente da confondere con l’omonimo e più celebre santo di Poitiers.
Ilario di Arles discendeva da un’aristocratica famiglia imparentata con Sant’Onorato di Arles. Assai probabilmente fu educato in una scuola di retorica e la sua conversione venne descritta da Onorato in uno stile che ricalca le “Confessioni” di Sant’Agostino.
Ricco di doni naturali, decise di farsi monaco sull’isola di Lérins nel celebre complesso monastico fondato appunto dall’amico Onorato con l’aiuto di San Caprasio.
Qui però non rimase a lungo, perché l’amico lo volle con sé quando venne eletto vescovo di Arles. Tentò in seguito di fare ritorno a Lérins, ma alcuni messaggeri della città di Arles lo inseguirono per comunicargli la sua elezione a vescovo in seguito alla prematura scomparsa di Onorato nel 430. Ilario aveva allora solo ventinove anni.
Nella vita episcopale cercò di coniugare la vita monastica a quella impostagli dall’esercizio del nuovo ministero, per esempio riservando un determinato tempo al lavoro manuale devolvendo il ricavato in elemosina.
In svariate occasioni devolvette il ricavato della vendita di vasi sacri per il riscatto dei prigionieri. Promosse la costruzione di nuovi monasteri nella sua diocesi ed intraprese la visita di quelli già esistenti. Si dimostrò anche pieno di zelo nei rapporti con gli altri vescovi vicini, nei confronti dei quali rivendicò una giurisdizione metropolitana, come già alcuni suoi predecessori.
Ilario giunse al punto di deporre il vescovo Calcedonio, che immediatamente si appellò al Papa San Leone Magno, ed a nominare il successore di un vescovo assai malato che però non morì.
Ilario stesso si recò a Roma, ove il papa, giudicandolo poco trattabile, lo lasciò nella sua sede proibendogli però di consacrare nuovi vescovi ed assegnando il titolo di metropolita al vescovo di Fréjus.
Non si sa molto degli ultimi anni della sua vita. Morì nel 449 all’età di soli quarantanove anni, dopo aver instancabilmente lavorato per la sua diocesi e pare riconciliato con San Leone, che infatti si riferì a lui con l’espressione “di beata memoria”.
Ilario costituisce forse un esempio di persona dotata di notevole talento, che però ricevette incarichi troppo importanti in giovane età da un influente parente. É stata tramandata solamente una sua opera completa: “Sermo de Vita S. Onorati”.
Il Martyrologium Romanum commemora Sant’Ilario di Arles al 5 maggio nell’anniversario della sua nascita al cielo.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Ilario di Arles, pregate per noi.

*Sant'Ilario di Arles - Vescovo (5 Maggio)

400 – 5 maggio 449
Martirologio Romano:
Ad Arles in Provenza, Sant’Ilario, vescovo, che, promosso suo malgrado dall’eremo di Lérins all’episcopato, lavorando con le sue mani, vestendosi di una sola tunica sia in estate sia in inverno e andando sempre a piedi, rese visibile a tutti il suo amore per la povertà; dedito alla preghiera, ai digiuni e alle veglie, si adoperò instancabilmente nel ministero della parola, rivelò ai peccatori la misericordia di Dio, accolse gli orfani e destinò prontamente tutto il denaro raccolto dalle basiliche della città al riscatto dei prigionieri.
Il Sant’Ilario festeggiato in data odierna, vescovo di Arles, non è assolutamente da confondere con l’omonimo e più celebre santo di Poitiers.
Ilario di Arles discendeva da un’aristocratica famiglia imparentata con Sant’Onorato di Arles.
Assai probabilmente fu educato in una scuola di retorica e la sua conversione venne descritta da Onorato in uno stile che ricalca le “Confessioni” di Sant’Agostino.
Ricco di doni naturali, decise di farsi monaco sull’isola di Lérins nel celebre complesso monastico fondato appunto dall’amico Onorato con l’aiuto di San Caprasio.
Qui però non rimase a lungo, perché l’amico lo volle con sé quando venne eletto vescovo di Arles. Tentò in seguito di fare ritorno a Lérins, ma alcuni messaggeri della città di Arles lo inseguirono per comunicargli la sua elezione a vescovo in seguito alla prematura scomparsa di Onorato nel 430. Ilario aveva allora solo ventinove anni.
Nella vita episcopale cercò di coniugare la vita monastica a quella impostagli dall’esercizio del nuovo ministero, per esempio riservando un determinato tempo al lavoro manuale devolvendo il ricavato in elemosina.
In svariate occasioni devolvette il ricavato della vendita di vasi sacri per il riscatto dei prigionieri. Promosse la costruzione di nuovi monasteri nella sua diocesi ed intraprese la visita di quelli già esistenti. Si dimostrò anche pieno di zelo nei rapporti con gli altri vescovi vicini, nei confronti dei quali rivendicò una giurisdizione metropolitana, come già alcuni suoi predecessori.
Ilario giunse al punto di deporre il vescovo Calcedonio, che immediatamente si appellò al Papa San Leone Magno, ed a nominare il successore di un vescovo assai malato che però non morì.
Ilario stesso si recò a Roma, ove il papa, giudicandolo poco trattabile, lo lasciò nella sua sede proibendogli però di consacrare nuovi vescovi ed assegnando il titolo di metropolita al vescovo di Fréjus.
Non si sa molto degli ultimi anni della sua vita. Morì nel 449 all’età di soli quarantanove anni, dopo aver instancabilmente lavorato per la sua diocesi e pare riconciliato con San Leone, che infatti si riferì a lui con l’espressione “di beata memoria”.
Ilario costituisce forse un esempio di persona dotata di notevole talento, che però ricevette incarichi troppo importanti in giovane età da un influente parente. É stata tramandata solamente una sua opera completa: “Sermo de Vita S. Onorati”.
Il Martyrologium Romanum commemora Sant’Ilario di Arles al 5 maggio nell’anniversario della sua nascita al cielo.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ilario di Arles, pregate per noi.

*Sant'Irene (Erina) da Lecce - Vergine e Martire (5 Maggio)
Etimologia: Irene = pace, pacifica, dal greco
Emblema: Palma
Santa venerata a Lecce, ma la sua persona è circondata dalla leggenda, studi approfonditi sulla sua esistenza mancano, mentre vi è un’antica “Vita” abbreviata del Menologio di Basilio II del sec. X.
Irene che a Lecce è chiamata Erina, era figlia di un signorotto di nome Licinius, che geloso della bellezza della figlioletta, all’età di sei anni la rinchiuse sulla cima di una torre, sorvegliata da tredici servi.
Dio la istruì nel cuor suo della dottrina cristiana e San Timoteo, discepolo di San Paolo, la
battezzò, lei prese gli idoli che il padre le aveva dato da adorare e li infranse; il padre preso dall’ira la fece legare su un cavallo imbizzarrito per farla morire, ma miracolosamente Irene si salvò, mentre il padre morì a causa delle conseguenze di un morso ricevuto alla mano, dallo stesso cavallo.
La giovane cristiana ottenne con le preghiere, la resurrezione del padre, il quale unitamente alla famiglia ed a circa tremila pagani, si convertì al cristianesimo.
Il governatore Ampelio tentò di farla apostatare e al suo rifiuto, inferocito, la fece torturare e decapitare.
(In questa ‘Vita’ non vi è alcuna indicazione di luogo né di data).
Altre ‘Vite’ che sono lo svolgimento e l’abbellimento della precedente, sono condensate nei sinassari bizantini, uno di questi, narra che Irene nacque a Magedo (Persia) figlia di re e prima di essere battezzata si chiamava Penelope, segue tutta una carrellata d’inverosimili miracoli e conversioni di pagani in massa; alla fine la santa è mandata a morte dal re di Persia, Sapore (272), al tempo di Costantino imperatore.
Secondo un’altra tradizione Irene, figlia di Licinio, sarebbe originaria di Lecce, dove è festeggiata al 5 maggio con il nome di Erina.
Dal V secolo a Costantinopoli vi erano già due chiese a lei intitolate, più volte restaurate e ricostruite di cui una esiste tuttora.
Il nome Irene deriva dal greco Eiréne e vuol dire Pace, infatti la dea della pace, nella mitologia greca, si chiamava appunto Irene; il nome venne adottato nel latino imperiale con significato augurale e poi dai cristiani come nome apportatore di pace tra tutti i fratelli in Cristo e soprattutto della Pace celeste.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Irene da Lecce, pregate per noi.

*San Lanno (Lando) - Martire venerato a Vasanello (5 Maggio)

III sec.
Di origini germaniche, nasce probabilmente a Colonia intorno al 279 d.C. Di nobile famiglia, entrò adolescente nell’esercito romano; discese quindi in Italia dove abbracciò la fede cristiana.
Nell’allora Castrum Bassanelli, oggi Vasanello, regnante l’imperatore Diocleziano, nel dies natalis del 5 maggio 296, pagò con la decapitazione il rifiuto di rinunciare alla fede cristiana e sacrificare alle divinità pagane.
Nasce intorno al 279-280, sotto il pontificato di Eutichiano e l’impero di Probo, da una famiglia nobile e cristiana; lascia presto la patria terrena e scegli la patria universale della Chiesa quale precursore di quella milizia ausiliaria che si batte coraggiosamente per difendere i diritti di Dio e la patria dell’anima in una terra dove avrebbe presto data la suprema testimonianza del sangue.
Poiché di origini nobili, nella vicina Treviri nel 292, entrò nell’esercito adolescente, quando già il cristianesimo era entrato largamente nell’esercito, in un periodo di tolleranza religiosa.
La legione XIII Fulminante reclutata da Marco Aurelio in Armenia, prima nazione a riconoscersi cristiana, era composta quasi da tutti cristiani.
Massimiano lo scelse per far parte della guardia imperiale ed accettò lealmente la disciplina
militare al servizio dell’imperatore. Viveva tranquillo perché sapeva che la sua spada difendeva oltre alla civiltà di Roma, anche il tesoro della fede.
Ma quando ebbe la percezione di una recrudescenza delle persecuzioni contro i cristiani, Lando, nel 294, si schiera decisamente sotto la bandiera di Cristo, sentendo la forza portentosa della verità.
La sua figura di cavaliere soldato che impugna il vessillo della croce è la iconografia più fedele del Santo.
Venuto in Italia al seguito di Massimiano di ritorno dalle Gallie, dopo un breve periodo, presumibilmente trascorso a Roma, sosta nell’antica Faleri sulla via Flaminia.
Qui in una grotta ritrova e battezza i suoi fratelli spirituali, S. Valentino, S. Rotilio, S. Ilario, S. Florenzio e S. Felicissima.
Presa la via Amerina, una diramazione della Flaminia che conduceva ad Ameria (Amelia), perviene a Bassanello, già castello etrusco.
Per la predicazione incessante della fede di Cristo, delle verità della religione cristiana, e nel confutare gli errori del paganesimo e la religione dello stato, anche come personaggio troppo in vista, finì presto davanti all’Augusto imperatore Diocleziano che dopo un primo periodo di tolleranza e favore verso i cristiani (sua moglie Prisca e sua figlia Valeria lo erano), ne divenne un feroce persecutore a cominciare da quelli arruolati nell’esercito.
Comportamento dettato dalla paura dello sfaldamento dell’impero e dietro le pressioni incalzanti di due dei tetrarchi, il cesare Galerio e l’Augusto Massimiano.
Da rilevare che, con il suo primato nella tetrarchia da lui ideata (quarto era il cesare era Costanzo Cloro), oltre al governo dell’Impero d’Oriente con capitale Nicomedia, si riservò gli atti più importanti del governo tra cui le persecuzioni, anche quando avvenivano fuori della sua provincia.
Davanti al magistrato imperiale, dove per poter essere assolti bastava negare la propria fede, Lanno, nella intatta costanza della sua fede, subì una spaventosa tortura.
Condotto al tempio di Marte per indurlo a sacrificare alla divinità, fece crollare il tempio sotto cui si frantumò l’idolo e perirono i sacerdoti pagani.
La sentenza della pena capitale con la decapitazione a mezzo dell’arma onorevole della spada, non tardò ad essere emessa e doveva essere eseguita fuori dell’abitato.
Mentre il santo veniva condotto al supplizio, un cieco si fece condurre davanti al martire che toccando in nome di Cristo i suoi occhi riacquistò la luce. Presso la cappella del martirio del Santo alcune grotte lungo la strada avevano per toponomastica San Ceconato.
Sul luogo del martirio, il Santo appena diciassettenne, si toglie la clamide, si inginocchia, piega il capo e congiunge le mani “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”.
Nell’anno precedente al martirio dell’altro milite San Sebastiano, nel dies natalis del 5 maggio del 296, la terra di Bassanello si bagna e si impreziosisce del sangue. Con il suo sacrificio, l’impronta di Cristo segnerà per sempre le genti che verranno.
Alcuni fedeli riescono a trafugare le sue spoglie mortali ed a seppellirle vicino alle mura castellane.
Saranno poi traslate nell’antica basilica bizantina dedicata anch’essa a Santa Maria e quindi, per sottrarlo al pericolo delle invasioni saracene, tumulate dentro le mura castellane.
Tra le varie interpretazioni della sigla E.P.S. nell’epigrafe su laterizio rinvenuta nel 1628 presso il loculo in cui fu nel frattempo collocato, vi è quella più probabile dell’Ereptus Periculo Saracenorum.

(Autore: Antonino Scarelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lanno, pregate per noi.

*San Leo (Leone) di Africo - Eremita (5 Maggio)
sec. XI/XII

Martirologio Romano: In Calabria, san Leone, eremita, che si dedicò alla contemplazione e alle opere di bene per i poveri e morì ad Áfrico presso Reggio nel monastero da lui stesso fondato.
Nativo di Bova, o più probabilmente di Africo (Reggio Calabria), Leo (Leone, Leonzio) fin da giovane si ritirò in una capanna, presso Africo, sulla via di Polsi, dove raffinava la resina che estraeva dai pini dell’Aspromonte.
Sentendosi attirato da una vita di più intenso fervore, si diede alle pratiche dell’ascetismo proprie degli asceti greci di quel tempo: anacoretismo, penitenza, digiuni prolungati, contemplazione e
lavoro manuale.
La resina che lavorava veniva venduta a Messina e il ricavato distribuito ai poveri. Fondò un monastero, forse quello dell’Annunziata presso Africo, di cui divenne egumeno e che fu arricchito di donazioni da parte dei Normanni e degli Svevi.
Anche oggi sulla strada tra Africo e Polsi si trova un cumulo di pietre detto «croce di san Leo», perché, secondo la tradizione, egli vi aveva innalzato una croce, presso la quale visse per tre anni. Gli storici calabresi, come il Martire ed Elia D’Amato, ne indicano la morte al 5 maggio del 500, ma essa deve essere posticipata, perché il santo visse tra l’XI e il XII secolo.
I bovesi s’impossessarono a viva forza delle sue reliquie, gli dedicarono una chiesa e lo proclamarono patrono, celebrandone solennemente la festa al 5 maggio con una processione durante la quale si canta una canzone in dialetto calabrese, che ne magnifica gli episodi più salienti della vita.
Le ossa attualmente sono custodite nella cattedrale di Bova; Una reliquia insigne è venerata ad Africo.

(Autore: Francesco Russo – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Leo di Africo, pregate per noi.

*Beato Lucio di Savoia - Martire Mercedario (5 Maggio)
+ Costantinopoli, 5 maggio 1470
Discendente della nobile famiglia dei Savoia, il Beato Lucio, ricevette l’abito dell’Ordine Mercedario nel convento di Carcassona in Francia.
Inviato a redimere schiavi in Africa, fu sorpreso in mare dai corsari mori che portatolo a Tunisi, gli inflissero ogni genere di orribili torture.
Condotto poi in Egitto, per 16 anni sopportò una crudele prigionia e afflitto da molti tormenti, i quali nulla valsero a fargli rinnegare la fede in Cristo Gesù.
Indignati per la sua costanza, per ordine del sultano Bajazet II° venne decapitato nella città di Costantinopoli il 5 maggio 1470.
L’Ordine lo festeggia il 5 maggio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Lucio di Savoia, pregate per noi.

*San Martino di Finojosa - Vescovo di Sagunto (5 Maggio)

Soria, Spagna, 1140 circa – Huerta, Spagna, 16 settembre 1213.
Martino nacque nel 1140 circa nella regione spagnola di Soria.
Nel 1158 entrò nel monastero cistercense di Cantares per poi trasferirsi a Huerta di Ariza.
Dopo alcuni anni venne eletto abate e il monastero, sotto il suo governo, esercitò un grande influsso sui due regni di Castiglia ed Aragona.
Nel 1185 fu eletto abate e il monastero, sotto il suo governo, esercitò un grande influsso sui due regni di Castiglia ed Aragona.
Nel 1185 fu eletto vescovo di Siguenza.
Nel 1192 abbandonò il vescovado e si ritirò in solitudine a Huerta, dove condusse per oltre venti anni una vita ritirata e nascosta, dedita alla contemplazione.
Morì il 16 settembre 1213.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 5 maggio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Martino di Finojosa, pregate per noi.

*San Massimo di Gerusalemme - Vescovo (5 Maggio)

+ Gerusalemme, 350
Martirologio Romano:
Commemorazione di San Massimo, vescovo di Gerusalemme, il quale, dopo che gli era stato cavato un occhio e bruciato un piede con un ferro infuocato, fu condannato dal cesare Massimino Daia ai lavori forzati; lasciato poi libero, fu posto alla guida della Chiesa di Gerusalemme, dove, divenuto celebre per la sua gloriosa confessione di fede, riposò nella pace.
Assai scarse sono le notizie certe in merito al San Massimo venerato in data odierna.
Confesso la fede cristiana sotto gli imperatori Diocleziano e Massimiano, subendo varie torture: gli fu cavato un occhio e bruciato un piede con ferro infuocato.
Venne poi condannato al lavoro forzato nelle miniere.
Dopo la pace costantiniana fu preposto alla sede episcopale di Gerusalemme, succedendo così a Macario.
Durante la controversia ariana la sua ingenuità lo portò ad abbracciare erronee posizioni teologiche, ma infine torno alla retta fede. Poté così morire in pace nella Città Santa nel 350, divenendo luminoso esempio di testimone della fede.
Il Martyrologium Romanum commemora San Massimo al 5 maggio.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Massimo di Gerusalemme, pregate per noi.

*San Mauronto - Abate e Diacono (5 Maggio)
634 – Marchiennes, Francia, 702
Martirologio Romano:
A Marchiennes nella Gallia belgica, ora in Francia, San Mauronto, abate e diacono, discepolo di Sant’Amando.
Nient’affatto sporadici sono i casi di santità di intere numerose famiglie in ormai duemila anni di cristianesimo.
Il Santo venerato oggi, Mauronto, è infatti figlio dei Santi Abalaldo, ufficiale alla corte di Dagoberto I, e Rictrude, poi badessa di Marchiennes. Come sante sono anche venerate le tre sorelle di Mauronto: Clotsinda, Eusebia e Adalsinda.
All’età di soli quindici anni Mauronto rimase orfano, quando il padre fu ucciso durante una
spedizione militare in Guascogna. Andò allora a vivere alla corte di Clodoveo II, ove fu fidanzato con una ragazza di nome Ermengarda. Preferì però rompere il fidanzamento per servire Dio nella vita religiosa.
Ricevuta l’ordinazione diagonale, fondò un monastero presso Brueil-sur-Lys in un possedimento di famiglia. Più tardi venne richiamato a corte come cancelliere del re Teodorico I, che gli consiglio di farsi sostituire alla guida del monastero da Sant’Amato, vescovo di Sion in esilio. Così fu, sino a quando nel 690 Mauronto ne riprese possesso.
Durante gli ultimi anni della sua vita divenne anche responsabile del convento di suore di Marchiennes, la cui guida era vacante dalla morte di sua madre Rictrude. Qui fece edificare una chiesa in onore alla Madonna, che fu consacrata dal vescovo di Thérouanne.
Mauronto morì a Marchiennes nel 702 e le sue spoglie vennero tumulate nella chiesa abbaziale accanto a quelle della santa madre, finché nell’870 le razzie dei vichinghi obbligarono i monaci a traslarle in un luogo più sicuro.
Giunsero così nella città di Douai, di cui il Santo divenne patrono. Il suo nome fu anche imposto alla città di Merville (“Maurontii villa”), sorta accanto al monastero.
Il suo culto, forte nell’area di Lilla e Cambrai, è ancora suffragato dalla citazione sul Martyrologium Romanum in data 5 maggio.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mauronto, pregate per noi.

*San Michele Ghislieri - Papa Pio V - Domenicano (5 Maggio)

Papa Pio V, al secolo Antonio (in religione Michele) Ghislieri (Bosco Marengo, 17 gennaio 1504 – Roma, 1º maggio 1572), è stato il 225º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, sovrano dello Stato Pontificio, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice, dal 7 gennaio 1566 alla sua morte.
Teologo e inquisitore domenicano, operò per la riforma della Chiesa secondo i dettami del Concilio di Trento. Con san Carlo Borromeo e sant'Ignazio di Loyola è considerato tra i principali artefici e promotori della Controriforma. Durante il suo pontificato furono pubblicati il nuovo Messale romano, il Breviario e il Catechismo, furono intraprese le revisioni della Vulgata e del Corpus Iuris Canonici.
Intransigente tanto nel governo dello Stato Pontificio quanto nella politica estera, fondò la sua azione sulla difesa del Cattolicesimo dall'eresia e sull'ampliamento dei diritti giurisdizionali della Chiesa; nel tentativo di favorire l'ascesa al trono inglese della cattolica Maria Stuarda, scomunicò Elisabetta I d'Inghilterra.
La sua figura è legata alla costituzione della Lega Santa e alla vittoriosa Battaglia di Lepanto (1571). Fu beatificato nel 1672 da papa Clemente X e canonizzato il 22 maggio 1712 da papa Clemente XI.
Biografia
Famiglia e formazione
Antonio Ghislieri nacque a Bosco (oggi Bosco Marengo, in provincia di Alessandria; all'epoca villaggio appartenente alla diocesi di Tortona e al ducato di Milano) da Paolo e Dominina Augeri. Il padre, pastore di pecore, era povero, e l'accesso agli studi al giovane Antonio fu consentito grazie al sostegno economico di un benefattore suo vicino di casa, tale Bastone. Scritti genealogici fioriti dopo la sua elezione al soglio pontificio, pur senza negare la povera condizione di nascita del Ghislieri, tentarono di nobilitarne le origini collegando la sua famiglia all'omonima potente casata bolognese, il cui esilio alla metà del Quattrocento avrebbe spiegato la presenza di suoi membri nella lontana Bosco e la loro decadenza; questa genealogia, però, non fu mai comprovata su base documentaria. È invece provata la presenza della famiglia Ghislieri nella zona del Bosco fin dal XIV secolo, ben prima dunque del 1445, data di esilio dell'ipotetico antenato Lippo di Tommaso Ghislieri da Bologna; lo stesso Girolamo Catena, autore della sua prima biografia, d'impronta decisamente celebrativa, mise in dubbio le origini bolognesi dei Ghislieri di Bosco per lo stesso motivo. Pio V contribuì a confermare questa tradizionale ascendenza bolognese adottando come stemma l'antica arma dei Ghislieri felsinei e, da papa, favorendo la carriera ecclesiastica del suo presunto parente Giovanni Pietro Alessandri, imparentato per via materna con i Consiglieri, un ramo realmente discendente dai Ghislieri di Bologna che aveva mutato nome. Per volere di Pio V, l'Alessandri, che aveva già assunto il cognome della madre, cambiò il proprio cognome in Ghislieri: in questo modo, il papa si "imparentò" ufficialmente anche con il cardinale Giovanni Battista Consiglieri, zio materno dell'Alessandri.
Ritratto di frate in veste di San Tommaso d'Aquino di Girolamo Mazzola Bedoli (1543) conservato nella Pinacoteca di Brera. Il frate è identificato con il domenicano Michele Ghislieri, ritratto forse durante il suo soggiorno a Parma.
Dopo i primi studi nel paese natale, Antonio entrò a quattordici anni nel convento domenicano di Voghera, assumendo il nome di Michele. Compì in seguito il noviziato presso il convento di Vigevano, ove emise i voti solenni nel 1519 e completò la sua formazione umanistica e teologica presso lo studium conventuale. Notato dai superiori per la straordinaria vivacità d'ingegno e per l'austerità di vita, fu mandato allo studium teologico dell'Università di Bologna, dove ricevette una solida preparazione di stampo rigidamente tomista.
Gli anni dell'insegnamento e gli incarichi nell'Ordine
I primi anni di ministero di fra' Michele furono dedicati all'insegnamento della teologia, di cui fu lettore nei conventi domenicani di Pavia, Alba e Vigevano. Dal 1528 al 1544 insegnò inoltre Filosofia presso l'Università degli Studi di Pavia e fu per breve tempo docente di Teologia presso l'Università di Bologna.
L'attività di insegnamento fu accompagnata nel corso degli anni trenta da diversi incarichi di governo nell'Ordine domenicano: a Vigevano fu procuratore e priore del convento, quindi fu priore a Soncino, ad Alba e infine nuovamente a Vigevano. In questi anni si recò spesso fuori dai conventi per esercitare il ministero pastorale, predicare e giudicare controversie in alcuni capitoli provinciali. Nel luglio 1539 fu temporaneamente inviato a sovraintendere alla ricostruzione del convento domenicano dell'isola di Sant'Erasmo a Venezia. Nel 1542 fu scelto per rivestire la carica di definitore nel capitolo generale della provincia "Utriusque Lombardia" tenutosi a Roma. Dalla stessa assemblea risultò eletto Superiore provinciale per la Lombardia, carica che ricoprì per pochi mesi fino all'ingresso nella Santa Inquisizione.
La carriera ecclesiastica
Il cardinale Ghislieri ritratto dal Domenichino
L'11 ottobre 1542 fu nominato commissario e vicario inquisitoriale per la diocesi di Pavia, ricevendo così il primo incarico nell'attività a cui si sarebbe dedicato fino alla morte con tutte le sue energie. L'anno successivo, a Parma, si mise in luce pronunciando le conclusioni pubbliche del capitolo provinciale, consistenti in trentasei tesi contro l'eresia luterana.
In virtù della sua esemplare condotta di vita, fu nominato inquisitore a Como (1550) e quindi, per volere di papa Giulio III, ebbe la stessa qualifica a Bergamo, dove fu incaricato di condurre un'inchiesta sul vescovo Vittore Soranzo, sospettato di eresia. Il 5 dicembre 1550 la residenza del Ghislieri fu presa d'assalto e l'inquisitore fu costretto alla fuga verso Roma, dove giunse il 24 dicembre riuscendo a consegnare al cardinale Gian Pietro Carafa l'incartamento relativo al Soranzo. Proprio grazie all'intercessione del cardinale Carafa, il Ghislieri fu nominato il 3 giugno 1551 commissario generale dell'Inquisizione romana, occupandosi da subito dei processi contro i cardinali Reginald Pole, Giovanni Morone e contro l'umanista fiorentino Pietro Carnesecchi.
L'elezione a pontefice del cardinale Gian Pietro Carafa, suo protettore, nel Conclave del maggio 1555, segnò un punto di svolta nel cursus honorum del Ghislieri. Paolo IV lo nominò presidente della commissione incaricata di redigere l'Indice dei libri proibiti e il 4 settembre 1556 lo nominò vescovo di Sutri e Nepi e inquisitore generale a Milano e in Lombardia. Fra' Michele ricevette l'ordinazione episcopale il 14 settembre dal cardinale Giovanni Michele Saraceni e l'anno successivo fu creato cardinale con il titolo di Santa Maria sopra Minerva, chiesa domenicana appositamente elevata a titolo cardinalizio.
Il 14 dicembre 1558, in concistoro, Paolo IV nominò il cardinale Ghislieri "Grande Inquisitore della Santa Romana e Universale Inquisizione" con facoltà illimitate e ad vitam. L'anno successivo, alla morte del pontefice, il Ghislieri partecipò al suo primo conclave, aderendo al partito vicino ai Carafa. Dopo aver sostenuto la candidatura del cardinale Antonio Carafa, appoggiò Giovanni Angelo Medici, che fu eletto con il nome di Pio IV. Il Ghislieri fu confermato nel suo ruolo di inquisitore, ma le divergenze con il pontefice, distante dalla linea intransigente del predecessore, lo portarono a essere nominato vescovo di Mondovì il 17 marzo 1560, dove si trasferì; prese possesso della diocesi il 4 giugno 1561.
Il conclave del 1565 - 1566
Alla morte di Pio IV, entrato in conclave con il sostegno del cardinale Carlo Borromeo, Antonio Michele Ghislieri fu eletto il 7 gennaio 1566, incoronato il 17 gennaio (giorno del suo 62º compleanno) da Giulio Della Rovere, cardinale protodiacono e prese possesso della Basilica di San Giovanni in Laterano il 27.
Fu il terzo frate domenicano a salire al Soglio pontificio. Prima di lui erano stati eletti il cardinale Pietro di Tarantasia, che prese il nome di Innocenzo V (febbraio-giugno 1276) e il cardinale Nicola (o Niccolò) di Boccassio, che prese il nome di Benedetto XI (1303-1304). Dopo di lui un quarto domenicano, Pietro Francesco Orsini, verrà eletto papa con il nome di Benedetto XIII (1724-1730).
Il Pontificato
Relazioni con le istituzioni della Chiesa
Inquisizione romana
Pio V scelse una nuova sede della congregazione, dopo che quella precedente era stata distrutta alla morte di Paolo IV. Tenne in elevata considerazione il lavoro degli inquisitori e alcune volte assistette personalmente alle riunioni. Riordinò i poteri dei cardinali inquisitori nella bolla Cum felicis recordationis. Nel 1571 istituì la Sacra Congregazione dell'Indice dei Libri Proibiti, attribuendole l'esclusivo compito di aggiornare l'elenco dei libri sottoposti alla censura ecclesiastica, separandolo dalle competenze dell'Inquisizione. Durante il suo pontificato si svolsero i processi agli umanisti Pietro Carnesecchi e Aonio Paleario, che si conclusero entrambi con una condanna a morte (rispettivamente nel 1567 e 1570). Nell'ambito della revisione del "processo Carafa" fu giustiziato il letterato Niccolò Franco (cui è attribuita tra l'altro una celebre pasquinata), impiccato sulla pubblica piazza l'11 marzo 1570).
Ordini religiosi
*Pio V disciplinò la clausura degli ordini monastici femminili con la bolla Circa pastoralis officii del 1º febbraio 1566.
*Con la bolla Regularium personarum impose ai regolari il divieto di risiedere fuori da conventi e monasteri e di passare da un ordine all'altro.
*Decretò la soppressione dell'ordine religioso degli Umiliati, che a Milano avversava le riforme operate dall'arcivescovo Carlo Borromeo (bolla del 7 febbraio 1571).
*Soppresse la congregazione eremitica di Fonte Avellana, aggregando la comunità all'Ordine camaldolese.
Agostiniani scalzi
Con la lettera apostolica Lubricum vitae genus del 17 novembre 1568, il pontefice impose ai monaci eremiti riunitisi al seguito del sacerdote Filippo Dulcetti nel 1517 di entrare in qualche ordine già approvato (e questi scelsero l'Ordine agostiniano).
Carmelitani
Con la bolla Superna dispositione del 18 febbraio 1566 Pio V approvò tutti i privilegi, le indulgenze e le grazie concesse all'Ordine carmelitano, compreso il privilegio sabatino Nel 1567 con il breve Superioribus mensibus il pontefice sottomise i Carmelitani ai vescovi che dovevano essere assistiti nel loro compito da un piccolo gruppo di domenicani;
Domenicani
Nel 1566 promosse la costruzione del convento domenicano di Santa Croce e Ognissanti a Bosco Marengo, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto costituire il centro di una città di nuova fondazione, nonché suo luogo di sepoltura.
Francescani
Con la bolla Illa nos cura (23 giugno 1568), Pio V impose al capitolo di una provincia la nomina di un superiore provinciale proveniente da un'altra provincia. Inoltre, al fine di custodire le cappelle della Porziuncola, del Transito e del Roseto e di altri luoghi resi sacri dalla memoria di san Francesco, nonché per accogliere i tanti pellegrini che da ogni luogo si recavano a visitarli, nel 1569 diede ordine di edificare ad Assisi la grande Basilica di Santa Maria degli Angeli, completata poi nel 1679;
Gesuiti
Con la bolla Dum indefessae (1571) acconsentì alla raccolta di elemosine per il sostegno dell'ordine;
Ordini religiosi cavallereschi
Pio V confermò i privilegi accordati alla «Società dei Crociati per la protezione dell'Inquisizione» e ordinò loro di difendere le azioni dell'Inquisizione (1570). Stabilì che l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro mantenesse in generale i privilegi ottenuti prima del pontificato del predecessore Pio IV; inoltre confermò che l'elezione del gran maestro venisse fatta dai cavalieri, sotto riserva di approvazione pontificia.
Relazioni con gli ebrei e con i valdesi
L'istituzione del ghetto romano
Se la Spagna, la maggior potenza cattolica del tempo, aveva espulso gli ebrei dal proprio territorio rinunciando così a convertirli, la Santa Sede percorse una strada diversa. Pio V decise infatti di trattenere gli ebrei sul territorio italiano, puntando alla loro conversione. Fu scelto il modello veneziano. Nella città lagunare gli ebrei arrivati dopo le espulsioni spagnole, erano stati confinati su un'isola Gli ebrei romani furono rinchiusi nel ghetto, situato in una specifica zona del rione Sant'Angelo, da cui furono espulsi i cristiani. Essi furono anche obbligati ad assistere a sermoni (tenuti da frati Domenicani) volti alla loro "redenzione". Quindi, nel progetto papale, la sperata conversione sarebbe arrivata al termine di un lungo processo di logoramento.
Il 19 gennaio 1567 il pontefice pubblicò la bolla Cum nos nuper, con la quale revocò molte concessioni di Pio IV: obbligò gli ebrei a vendere tutte le loro proprietà e gli immobili acquistati durante il pontificato del predecessore. Il 26 febbraio 1569 pubblicò la bolla Hebraeorum gens, che sancì l'espulsione di tutti gli Ebrei dallo Stato Pontificio, ad esclusione di coloro che accettavano di risiedere nei ghetti di Roma, Ancona e Avignone. Gli ebrei residenti nei centri più prossimi a Roma emigrarono nel ghetto romano, che in pochi anni divenne sovrappopolato.
La Strage dei Valdesi di Guardia Piemontese
A capo del Sant'Uffizio, il cardinal Ghislieri, venuto a conoscenza che i valdesi di Calabria avevano fatto chiamare da Ginevra maestri protestanti, richiedendoli direttamente a Calvino, incaricò il vescovo di Lesina Orazio Greco di indagare sulla dottrina dei valdesi e lo dotò di poteri inquisitoriali. La relazione di Lesina confermò la gravità dei fatti, per cui i valdesi di Guardia Piemontese e di San Sisto furono assoggettati a provvedimenti forzosi, via via più stringenti, dall'obbligo di ascoltare la predicazione, fino all'abiura. Anche dopo aver abiurato, alcuni continuarono a professare l'eresia e rifiutarono di portare l'abitello giallo con cui era obbligato a vestirsi chi aveva abiurato. A Guardia Piemontese e a San Sisto permase un clima di rivolta: alcuni fuggirono, mentre altri furono imprigionati. Intervennero le truppe del viceré di Napoli Pedro Afán de Ribera: Gian Luigi Pascale, processato a Roma, fu arso sul rogo il 16 settembre 1560, per aver sedotto la popolazione di Guardia Piemontese ad abbracciare l'eresia. Il 9 febbraio 1561 il Sant'Uffizio emise un decreto che prevedeva molte limitazioni alle libertà dei valdesi, che reagirono ribellandosi o fuggendo. Le truppe del viceré, guidate da Marino e Ascanio Caracciolo, incendiarono i paesi, ma furono attaccate dalla popolazione di San Sisto in una stretta gola ed ebbero circa cinquanta perdite. I Caracciolo, entrati poi a Guardia Piemontese, condannarono a morte 150 valdesi per ribellione, porto d'armi ed eresia: 86 od 88 persone furono giustiziate l'11 giugno 1561. Altre centinaia furono imprigionate.
Morte e sepoltura
Cenotafio di Pio V nella Chiesa di Santa Croce a Bosco Marengo
Pio V, spossato da una grave ipertrofia prostatica di cui, per pudicizia, non volle essere operato, si spense la sera del 1º maggio 1572, all'età di 68 anni, dopo aver detto ai cardinali radunati attorno al suo letto: «Vi raccomando la santa Chiesa che ho tanto amato! Cercate di eleggermi un successore zelante, che cerchi soltanto la gloria del Signore, che non abbia altri interessi quaggiù che l'onore della Sede Apostolica e il bene della cristianità». Spesso è riportato erroneamente che egli sia il primo Papa a vestire di bianco, volendo indossare l'abito dei domenicani anche dopo l'elezione a Sommo Pontefice; in realtà i Papi indossavano già da secoli la talare bianca e papa Pio V si limitò a indossare il saio bianco del suo Ordine sotto le vesti papali.
Fu sepolto nella Basilica Vaticana. Il 9 gennaio 1588 le sue spoglie furono trasferite nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Pio V rimane l'unico piemontese ad essere stato elevato al soglio di Pietro nei primi duemila anni di cristianesimo (nel terzo millennio è salito al Soglio pontificio papa Francesco, che peraltro è piemontese solo di ascendenza).
Canonizzazione e culto
Nel 1616 papa Paolo V, su istanza dell'Ordine domenicano, firmò il decreto di autorizzazione dell'istruttoria ordinaria, dando così inizio al processo canonico di beatificazione di Pio V. Nel 1624 papa Urbano VIII acconsentì ad aprire i processi che riconobbero la fama di santità del papa e otto miracoli, di cui due compiuti in vita. Esaminati ed approvati i fascicoli processuali dalla Sacra Congregazione dei Riti, Pio V fu beatificato da papa Clemente X il 1º maggio 1672.
Nel 1695 il maestro generale dell'Ordine dei Predicatori Antonin Cloche richiese l'esame di altri due miracoli: le guarigioni della bambina paralitica Margherita Massi e di Isabella Ricci, in pericolo di vita a causa di un aborto spontaneo. Approvata la relazione dei miracoli presentata dal cardinale Giovanni Maria Gabrielli in concistoro il 4 agosto 1710, Pio V fu canonizzato nella Basilica di San Pietro il 22 maggio 1712 da papa Clemente XI insieme ad Andrea Avellino, Felice da Cantalice e Caterina da Bologna.
La sua festa liturgica fu fissata al 5 maggio e ancora si celebra in questa data nella messa tridentina; nel 1969, con la riforma del calendario liturgico, la ricorrenza fu degradata a memoria facoltativa e fissata al 30 aprile. Pio V è l'unico pontefice proclamato santo in un periodo di ben sei secoli, cioè tra Celestino V (1313) e Pio X (1954).

*San Nicezio di Vienne - Vescovo (5 Maggio)

sec. V

Martirologio Romano: A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, San Nicezio, vescovo.
San Nicezio è un vescovo di Vienne. Nella lista dei vescovi della diocesi in alcuni casi figura al quattordicesimo posto, in altri al sedicesimo. Secondo alcuni succede a San Nettario, mentre per altri a San Claudio.
Fa parte di quella lista di quella quarantina di santi vescovi di Vienne.
Di lui non sappiamo nulla.
Tutti gli studiosi concordano che resse la diocesi verso la metà del V secolo, in quanto menzionato nel 449.
Si dice che fece costruire una chiesa in onore di San Martino, terzo vescovo di Vienne.
La sua festa nel martirologio romano è stata fissata nel giorno 5 maggio.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Nicezio di Vienne, pregate per noi.

*Beato Nunzio Sulprizio - Giovane operaio (5 Maggio)

Pescosansonesco, Pescara, 13 aprile 1817 - 5 maggio 1836
l calendario liturgico, accanto ad altri Santi, propone oggi la figura di questo giovane operaio vissuto nell'Ottocento e beatificato da Paolo VI il 1° dicembre 1963, durante il Concilio Vaticano II.
Nunzio Sulprizio era nato a Pescosansonesco, in provincia di Pescara, il 13 aprile 1817. Fin dalla prima infanzia aveva perso entrambi i genitori; a nove anni, poi, morì anche la nonna materna Anna Rosaria, che lo aveva cresciuto. A quel punto uno zio lo prese con sé nella sua officina di fabbro ferraio.
Ma il lavoro troppo pesante per l'età minò il suo fisico: colpito nel 1831 da una malattia alla tibia, fu ricoverato in ospedale prima a L'Aquila e poi a Napoli. Qui il colonnello Felice Wochinger si prese cura di lui e iniziò a trattarlo come un figlio.
Nonostante i dolori terribili, Nunzio affrontò la malattia con una pazienza e un'offerta del proprio dolore che colpì chi gli stava vicino. Morì a soli diciannove anni il 5 maggio 1836. Già Leone XIII lo propose come modello per la gioventù operaia. Le sue spoglie sono custodite in un'urna nella chiesa di san Domenico Soriano a Napoli. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Napoli, Beato Nunzio Sulprizio, che, orfano, malato di cancrena a una gamba e debole nel corpo, tutto sopportò con animo sereno e gioioso; di tutti si prese cura, consolò benevolmente i compagni di sofferenza e, nonostante la sua povertà, cercò di alleviare in ogni modo la miseria dei poveri.
A 540 metri sul livello del mare, sulle pendici del monte Picca, si distende a diversi livelli per lo sperone roccioso, il borgo di Pescosansonesco, in provincia di Pescara. Lì, dai giovani sposi Domenico Sulprizio, calzolaio, e Rosa Luciani, filatrice, il 13 aprile 1817, domenica “in albis”, nacque un bambino, che, battezzato, prima del tramonto del medesimo giorno, fu chiamato Nunzio.
Solo il registro dei battesimi – il libro dei figli di Dio – della sua parrocchia, per lunghi anni riporterà il suo nome: ignoto ai potenti, ma notissimo e bene-amato da Dio. A tre anni, i suoi genitori lo portarono al Vescovo di Sulmona, Mons. Francesco Tiberi, in visita pastorale nel vicino paese di Popoli, perché fosse cresimato: era il 16 maggio 1820, l’unica data lieta della sua fanciullezza, perché in seguito non avrà che da soffrire.

Orfano e sfruttato
Nell’agosto dello stesso anno, muore papà Domenico a soli 26 anni. Circa due anni dopo, mamma Rosa si risposa, anche per trovare un sostegno economico, ma il patrigno tratta il piccolo Nunzio con asprezza e grossolanità. Lui si lega molto alla mamma e alla nonna materna. Comincia a frequentare la scuola, una specie di “giardino d’infanzia”, aperto dal sacerdote don De Fabiis, nel paese della nuova residenza, Corvara.
Sono, per Nunzio, le ore più serene della sua vita: impara a conoscere Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e morto in croce in espiazione del peccato del mondo, intraprende a pregare, a seguire gli esempi di Gesù e dei santi, che il buon prete e maestro gli insegna. Gioca, socievole e aperto, con i piccoli amici. Comincia a imparare a leggere e a scrivere.
Ma il 5 marzo 1823, muore la mamma: Nunzio ha solo sei anni e la nonna materna Rosaria Luciani lo ospita in casa, prendendosi cura di lui. È analfabeta, ma ha una fede e una bontà grandissime:
nonna e nipotino camminano sempre insieme: insieme alla preghiera, alla Messa, nei piccoli lavori di casa. Il bambino frequenta la scuola istituita da don Fantacci, per i fanciulli più poveri e lì cresce, in sapienza e virtù: è un puro di cuore che si delizia a servire la Messa, a far visita a Gesù Eucaristico nel Tabernacolo, molto spesso. Ha dentro un orrore sempre più grande al peccato e un desiderio sempre più intenso di rassomigliare al Signore Gesù.
Quando ha appena nove anni, il 4 aprile 1926, gli muore la nonna. Nunzio ormai è solo al mondo ed è per lui l’inizio di una lunga “via dolorosa” che lo configurerà sempre più a Gesù Crocifisso.
Solo al mondo, è accolto in casa – come garzone – dallo zio Domenico Luciani – detto “Mingo” – il quale subito lo toglie dalla scuola e lo “chiude” nella sua bottega di fabbro-ferraio, impegnandolo nei lavori più duri, senza alcun riguardo all’età e alle più elementari necessità di vita. Spesso lo tratta male, lasciandolo anche senza cibo, quando a lui sembra che non faccia ciò che gli è richiesto. Lo manda a far commissioni, senza curarsi né delle distanze, né dei materiali da trasportare, né degli incontri buoni o cattivi che può fare. Allo “sbaraglio”, sotto sole, neve, pioggia, vestito sempre allo stesso modo. Non gli sono risparmiate neppure le percosse, “condite” da parolacce e bestemmie.
Ci sarebbe da soccombere in breve, ma Nunzio ha già una fede grande. Nel chiuso dell’officina, battendo sull’incudine, occupato sotto la “sferza” di un lavoro disumano, pensa al suo grandissimo Amico, Gesù Crocifisso, e prega e offre, in unione con Lui, “in riparazione dei peccati del mondo, per fare la volontà di Dio”, “per guadagnarsi il Paradiso”. Alla domenica, anche se nessuno lo manda, va alla Messa, il suo unico sollievo nella settimana.
Presto si ammala. Un rigido mattino d’inverno, lo zio Mingo lo manda, con un carico di ferramenta sulle spalle, su per le pendici di Rocca Tagliata, in uno sperduto casolare. Vento, freddo e ghiaccio lo stremano. Lungo il cammino mette i piedi accaldati in un laghetto gelido. A sera rientra spossato, con una gamba gonfia, la febbre che lo brucia, la testa che scoppia. Va a letto, senza dir nulla, ma l’indomani non regge più.
Lo zio gli dà come “medicina”, quella di riprendere il lavoro, perché “se non lavori, non mangi”. Nunzio in certi giorni si trova costretto a chiedere un pezzo di pane ai vicini di casa. Risponde con il sorriso, la preghiera, il perdono: “Sia come Dio vuole. Sia fatta la volontà di Dio”. Appena può, si rifugia a pregare in chiesa, davanti al Tabernacolo: gioia, energia e luce gli vengono da Gesù-Ostia, così che, appena adolescente, è in grado di dar consigli sapientissimi al contadini che lo interpellano.
Si trova con una terribile piaga a un piede, che presto andrà in cancrena. Lo zio gli dice: “Se non puoi più alzare il maglio, starai fermo a tirare il mantice!”. È una tortura indicibile. La piaga ha bisogno di continua pulizia e Nunzio si trascina fino alla grande fontana del paese per pulirsi ma di lì viene presto cacciato come un cane rognoso, dalle donne che, venendo lì a lavare i panni, temono che inquini l’acqua. Trova allora una vena d’acqua a Riparossa, dove può provvedere a se stesso, impreziosendo il tempo lì trascorso con molti Rosari alla Madonna.

Wochinger, un secondo padre
Tra l’aprile e il giugno 1831, è ricoverato all’ospedale dell’Aquila, ma le cure sono impotenti. Per Nunzio sono settimane però di riposo per sé e di carità per gli altri ricoverati, di preghiera intensa. Rientrato in casa, è costretto dallo zio a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Commenta: “È molto poco che io soffra, purché riesca a salvare la mia anima, amando Dio”. In tanto buio, solo il Crocifisso è la sua luce.
Finalmente, lo zio paterno, Francesco Sulprizio, militare a Napoli, informato da un uomo di Pescosansonesco, fa venire Nunzio a casa sua e lo presenta al Colonnello Felice Wochinger, conosciuto come “il padre dei poveri”, per la sua intensa vita di fede e per la inesauribile carità. È l’estate 1832 e Nunzio ha 15 anni: Wochinger scopre di aver davanti un vero “angelo” del dolore e dell’amore a Cristo, un piccolo martire. Si stabilisce tra i due un rapporto di padre a figlio.
Il 20 giugno 1832, Nunzio entra all’Ospedale degli Incurabili, in cerca di cure e di salute. Provvede il Colonnello a tutte le sue necessità. Medici e malati si accorgono di aver davanti un altro “S. Luigi”. Un buon prete gli domanda: “Soffri molto?”. Risponde: “Sì, faccio la volontà di Dio”. “Che cosa desideri?”. “Desidero confessarmi e ricevere Gesù Eucaristico per la prima volta!”. “Non hai ancora fatto la prima Comunione?”. “No, dalle nostre parti, bisogna attendere i 15 anni”. “E i tuoi genitori?”. “Sono morti”. “E chi pensa a te?”. “La Provvidenza di Dio”.
Viene subito preparato alla prima Comunione: per Nunzio è davvero il giorno più bello della sua vita. Il suo confessore dirà che “da quel giorno la Grazia di Dio incominciò a operare in lui fuori dell’ordinario, da vederlo correre di virtù in virtù. Tutta la sua persona spirava amore di Dio e di Gesù Cristo”.
Per circa due anni, soggiorna tra l’ospedale di Napoli e le cure termali a Ischia, ottenendo qualche passeggero miglioramento. Lascia le stampelle e cammina solo con il bastone. Finalmente è più sereno: prega molto, stando a letto, o andando in cappella davanti al Tabernacolo e al Crocifisso, e all’Addolorata. Si fa l’angelo e l’apostolo degli altri ammalati, insegna il catechismo ai bambini ricoverati, preparandoli alla prima Confessione-Comunione e a vivere più intensamente da cristiani, a valorizzare il dolore. Quelli che lo avvicinano sentono in lui il fascino della santità. Suole raccomandare ai malati: “Siate sempre con il Signore, perché da Lui viene ogni bene. Soffrite per amore di Dio e con allegrezza”. Per sé, ama molto un’invocazione alla Madonna: “Mamma Maria, fammi fare la volontà di Dio”.
Fatto il possibile per la sua salute, dall’11 aprile 1834, Nunzio vive nell’appartamento del col. Wochinger, al Maschio Angioino. Il suo secondo “padre” si specchia nelle sue virtù e ha una grandissima cura di lui, contraccambiato da profonda riconoscenza. Pensa a consacrarsi a Dio, e in attesa, si fa approvare dal confessore una regola di vita per le sue giornate, regola simile a quella di un consacrato, che osserva con scrupolo: la preghiera, la meditazione e la Messa al mattino, ore di studio durante il giorno, seguito da buoni maestri, il Rosario alla Madonna verso sera. Diffonde pace e gioia attorno a sé, e profumo fragrante di santità.
Il venerabile Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Sacri Cuori gli promette che lo accoglierà nella sua Famiglia religiosa appena fosse avviata: “Questo è un giovane santo e a me interessa che il primo a entrare nella mia Congregazione sia un santo, non importa se infermo”. Molto spesso, un certo fra Filippo, dell’Ordine degli “Alcantarini”, viene a tenergli compagnia e lo accompagna, finché riesce a reggersi, nella chiesa di S. Barbara, interna al castello. Presto però, all’iniziale miglioramento, segue l’aggravarsi delle sue condizioni fisiche: in fondo si tratta di cancro alle ossa e non c’è cura che serva. Nunzio, diventa un’offerta viva con il Crocifisso, a Dio gradita.
La gioia: dal Crocifisso
Il colonnello gli sta molto vicino: dal primo giorno, lo ha chiamato “Figlio mio” o “bambino mio”, ricambiato sempre da lui, con il nome di “papà mio”. Ora comprende che purtroppo si avvicina l’ora della separazione che solo la fede consola nella certezza dell’“arrivederci in Paradiso”.
Nel marzo 1836, la situazione di Nunzio precipita. La febbre è altissima, il cuore non regge più. Le sofferenze sono acutissime. Prega e offre, per la Chiesa, per i sacerdoti, per la conversione dei peccatori. Quelli che passano a trovarlo, raccolgono le sue parole: “Gesù ha patito tanto per noi e per i suoi meriti ci aspetta la vita eterna. Se soffriamo per poco, godremo in Paradiso”. “Gesù ha sofferto molto per me. Perché io non posso soffrire per Lui”. “Vorrei morire per convertire anche un solo peccatore”.
Il 5 maggio 1836, Nunzio si fa portare il Crocifisso e chiama il confessore. Riceve i Sacramenti, come un santo. Consola il suo benefattore: “State allegro, dal Cielo vi assisterò sempre”. Verso sera, dice, tutto contento: “La Madonna, la Madonna, vedete quanto è bella!”. A 19 anni appena, va a vedere Dio per sempre. Attorno si spande un profumo di rose. Il suo corpo, disfatto dalla malattia, diventa singolarmente bello e fresco e rimane esposto per cinque giorni. Il suo sepolcro è subito meta di pellegrinaggio.
Già Papa Pio IX, il 9 luglio 1859, lo dichiara “eroico nelle sue virtù” quindi “venerabile”. Il 1° dicembre 1963, davanti a tutti i Vescovi del mondo riuniti nel Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI iscrive Nunzio Sulprizio tra i “beati”, modello per i giovani operai, per tutti i giovani, anche quelli di oggi.
Se Nunzio, vissuto solo nel dolore, ha saputo dare senso e bellezza alla sua giovinezza grazie a Gesù amato e vissuto, perché, con la sua Grazia, la Grazia del divin Redentore, del più grande Amico dell’uomo, i giovani d’oggi, pure insidiati dallo sregolamento di tutti i sensi, dalla droga, dalla disperazione, non potranno fare della loro vita un capolavoro di amore e di santità? Occorre credere e obbedire al Cristo Crocifisso e Risorto che fa nuove tutte le cose.
(Autore: Paolo Risso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Solo una vita di sofferenza ha contraddistinto la bella, pura, semplice anima di questo giovane operaio, vissuta con pazienza e fiducia nella volontà di Dio. Nacque a Pescosansonesco in provincia di Pescara il 13 aprile 1817, subito la sofferenza si affacciò nella sua fragile vita, i genitori a breve distanza l’uno dall’altra morirono lasciandolo solo; la nonna materna Anna Rosaria lo prese con sé.
Quando aveva nove anni, anche la nonna morì, bisogna ricordare che l’aspettativa di vita in quell’epoca non era lunga, allora lo prese con sé come garzone nell’officina, lo zio Domenico Luciani fratello della madre; l’officina di fabbro ferraio richiedeva al gracile fanciullo un lavoro troppo pesante per lui, prese una malattia dolorosa alla tibia della gamba sinistra che lo costrinse nel 1831 ad un ricovero per tre mesi nell’ospedale S. Salvatore de L’Aquila.
Ritornato all’officina in uno stato doloroso, non poté continuare nel lavoro, pertanto un altro zio Francesco Sulprizio, nel 1832 lo inviò a Napoli con l’aiuto del colonnello Felice Wochinger, che prese ad amarlo come un figlio e per suo interessamento Nunzio fu ricoverato all’ospedale degli Incurabili.
Nel 1834, il colonnello per curarlo meglio, lo condusse con sé nel Maschio Angioino, oggi il più bel castello di Napoli, già reggia angioina ma allora adibito a caserma. Non mancarono anche nella nuova dimora disagi e sofferenze sempre sopportate con pazienza; preciso in tutto, scrisse un regolamento di vita che osservò con fedeltà, cercando di non cadere nemmeno nei più piccoli difetti, affidandosi con amore alla Mamma celeste.
Nell’autunno del 1835, i medici decisi ad amputare la gamba, dovettero rinunciare per l’estrema debolezza in cui si trovava; il male avanzò procurandogli dolori terribili, finché il 5 maggio 1836, morì a soli diciannove anni. Il suo corpo fu tumulato poi nella chiesa di s. Maria Avvocata; la salma rimase esposta per cinque giorni all’omaggio di quanti sapevano della sua dolorosa Via Crucis e della sua incredibile pazienza e offerta del dolore.
Il giovane sconosciuto venuto dai monti abruzzesi, con la qualifica di operaio fabbro, richiamò con le sue sofferenze l’attenzione della Chiesa; Pio IX nel 1859 lo dichiarò venerabile, Leone XIII lo proponeva come modello alla gioventù operaia.
Giovanni XXIII approvò il decreto sui miracoli attribuitagli; Paolo VI il 1° dicembre 1963, lo dichiarò Beato davanti a tutti i vescovi partecipanti al Concilio Ecumenico Vaticano II.
Esiste una vasta bibliografia sul Beato, perché la sua singolare figura di giovane operaio cristiano ha sempre attirato molti biografi.
Le spoglie furono traslate al paese natìo, Pescosansonesco (Pe), dove ora sono venerate dal popolo a cui apparteneva.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Nunzio Sulprizio, pregate per noi.

*Santa Prisca - Vergine e martire, venerata a San Sperate (5 Maggio)

Nel 1616, il giorno 3 maggio, ad opera dell’allora Arcivescovo di Cagliari don Francisco Desquivel, nel contesto degli scavi mirati al ritrovamento della tomba di San Sperate, si scoprì anche la sepoltura di Santa Prisca V. M... Sulla sua tomba vi erano le iscrizioni date solo a coloro che avevano offerto la loro vita in sacrificio per la causa della fede.
La lapide che copriva il suo sarcofago litico infatti recava la seguente dicitura: “+ D(E)D(ICAVIMUS) F(IDE)L(I) MART(YRI) PRISCE NIMIS N(OBIS) D(ILECTAE)”, che tradotto significa: DEDICHIAMO (QUESTO SEPOLCRO) ALLA FEDELE MARTIRE PRISCA DA NOI ARDENTISSIMAMENTE AMATA.
Questa epigrafe secondo l’interpretazione degli scopritori sarebbe stata apposta dal Vescovo di Cagliari Brumasio, agli inizi del VI secolo. Ricerche recenti (dell’archeologo Mauro Dadea) hanno
dimostrato che questo vescovo provvide personalmente alla deposizione nell’antica chiesa del centro abitato di Valeria, poi divenuta San Sperate, di reliquie di San Sperate e di altri martiri suoi compagni. Ricordiamo anche che questa giovane visse nel pieno della persecuzione dei cristiani per mano del potere romano, nel II secolo d. C.
Caso straordinario fu che quando si aprì il sarcofago di Prisca, il suo corpo apparve con grande stupore immerso in un mare di rose (dagli atti del ritrovamento - tratti dal Santuario de Caller del padre Serafino Esquirro).
Nel corso del tempo era invalsa la convinzione che Prisca fosse da identificare con l’omonima martire romana. Ciò in contrapposizione a quanto sostenuto dagli scopritori seicenteschi che invece ne ipotizzarono l’origine sarda, in particolare San speratina.
Le reliquie, come risulta dagli antichi documenti del XVII secolo, furono lasciate in deposito a San Sperate. Purtroppo nel corso dei secoli si è smarrita la loro esatta collocazione.
Alcuni frammenti minori di queste reliquie, dall’Arcivescovo Desquivel, furono distribuite ad alcuni esponenti dell’alta aristocrazia, che li conservarono nelle cappelle private dei loro palazzi. Una di queste reliquie, dopo l’estinzione dell’ultimo rappresentante di una famiglia nobile di Cagliari, che ne era proprietario, nell’anno giubilare 2000 è ritornata a San Sperate, donata a discendenti della comune genealogia.
Ogni anno, il 5 maggio, data dell’”adventus” cioè giorno del rientro del corpo santo al paese, nel giorno proprio della solennità di Santa Prisca V. M., la reliquia viene esposta al culto pubblico nella chiesa parrocchiale, dove viene poi trasportata insieme al simulacro in una suggestiva processione per le vie del suo paese che per l’occasione vengono adornate da un tappeto di petali di profumatissime rose.

(Autore: Marco Fois Biggio – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Prisca, pregate per noi.

*San Sacerdote di Limoges - Vescovo (5 Maggio)

sec. VIII
Martirologio Romano: A Limoges nella regione dell’Aquitania, in Francia, San Sacerdote, che fu dapprima monaco e abate, poi vescovo, e scelse infine di condurre vita monastica.
Sacerdote è nato intorno alla metà del VI secolo a Calviac in Quercy dove suo padre Labano e sua madre Mondane, entrambi di Bordeaux, si erano si erano ritirati.
Labano morì pochi anni dopo e il figlio sotto la tutela di Mondane che gli ha dato una formazione secondo i principi cristiani. Sacerdote ricevette gli ordinamenti sacri da San Capuano, vescovo di Cahors.
Sacerdote poi tornato in patria, dove ha trovato un piccolo e povero monastero, che fece riparare vi visse come semplice religioso.
Sette anni dopo venne eletto abate.
La fama di santità era tale che nel 711 morto Aggerio il vescovo di Limoges, è stato eletto all'unanimità come suo successore.
Nel 716 lasciò la carica episcopale e scelse infine di condurre vita monastica.
Sentendo la sua imminente fine decise di voler morire nel suo villaggio natale, ha iniziato un viaggio di ritorno e morì in viaggio.
Sacerdote venne sepolto nell'abbazia nel 720. I suoi resti sono stati trasferiti nella Cattedrale di San Sacerdote a Sarlat nel X secolo.

(Fonte: Wikipedia)
Giaculatoria - San Sacerdote di Limoges, pregate per noi.

*Santa Teuteria - Vergine eremita (5 Maggio)
Sante Teuteria e Tusca
Santa Tosca o Tusca nome originale, è una vergine eremita presso Verona, essa è commemorata insieme a Santa Teuteria, anch’essa eremita a Verona, il 5 maggio.
Secondo un racconto del secolo XVI, scritto dal vescovo della città scaligera, Agostino Valier,
Teuteria era nata da una nobile famiglia anglosassone fra il VII e l’VIII secolo, convertitasi al cristianesimo, crebbe notevolmente sulla via della santità, finché un re pagano Osvaldo, prese ad insidiarla nella purezza, Teuteria fu costretta a scappare in Italia per sfuggirgli.
Giunta a Verona si nascose presso la vergine Tusca (Tosca) sorella del vescovo Procolo per sfuggire alle ricerche del re deluso.
Tusca era una vergine veronese che conduceva vita eremitica e godeva della devozione dei fedeli per la sua spiritualità, Teuteria decise di vivere in intima comunione con Tusca fino alla morte, considerandola sua guida spirituale.
Il loro culto è documentabile fin dal sec. VIII, infatti nel 750 il vescovo Annone fece una dedicazione di una chiesa in loro onore; nel 1161 il vescovo Ognibene, autorizzò una ricognizione delle reliquie per sistemarle nella nuova basilica consacrata il 14 settembre 1161.
Anticamente la Chiesa veronese nei suoi libri liturgici commemorava le due sante eremite in date diverse: Teuteria il 5 maggio e Tusca il 10 luglio, poi unificate al 5 maggio.
Il nome Tosca o Tusca deriva dal latino ‘Tuscus’ e significa “etrusco” e poi per estensione “toscano” (e da qui la Toscana).
Più frequentemente usato in Emilia Romagna, in Toscana ed a Verona, ebbe un ritorno popolare dopo la rappresentazione dell’opera lirica ‘Tosca’ di Giacomo Puccini; il maschile Tosco o Tusco è praticamente scomparso.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Teuteria, pregate per noi.

*Santa Tosca (Tusca) - Vergine eremita (5 Maggio)

Sante Tusca e Teuteria  
Santa Tosca o Tusca nome originale, è una vergine eremita presso Verona, essa è commemorata insieme a Santa Teuteria, anch’essa eremita a Verona, il 5 maggio.
Secondo un racconto del secolo XVI, scritto dal vescovo della città scaligera, Agostino Valier, Teuteria era nata da una nobile famiglia anglosassone fra il VII e l’VIII secolo, convertitasi al cristianesimo, crebbe notevolmente sulla via della santità, finché un re pagano Osvaldo, prese ad
insidiarla nella purezza, Teuteria fu costretta a scappare in Italia per sfuggirgli.
Giunta a Verona si nascose presso la vergine Tusca (Tosca) sorella del vescovo Procolo per sfuggire alle ricerche del re deluso.
Tusca era una vergine veronese che conduceva vita eremitica e godeva della devozione dei fedeli per la sua spiritualità, Teuteria decise di vivere in intima comunione con Tusca fino alla morte, considerandola sua guida spirituale.
Il loro culto è documentabile fin dal sec. VIII, infatti nel 750 il vescovo Annone fece una dedicazione di una chiesa in loro onore; nel 1161 il vescovo Ognibene, autorizzò una ricognizione delle reliquie per sistemarle nella nuova basilica consacrata il 14 settembre 1161.
Anticamente la Chiesa veronese nei suoi libri liturgici commemorava le due Sante eremite in date diverse: Teuteria il 5 maggio e Tusca il 10 luglio, poi unificate al 5 maggio.
Il nome Tosca o Tusca deriva dal latino ‘Tuscus’ e significa “etrusco” e poi per estensione “toscano” (e da qui la Toscana).
Più frequentemente usato in Emilia Romagna, in Toscana ed a Verona, ebbe un ritorno popolare dopo la rappresentazione dell’opera lirica ‘Tosca’ di Giacomo Puccini; il maschile Tosco o Tusco è praticamente scomparso.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Tosca, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (05 Maggio)
*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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